mercoledì 25 marzo 2020

La morte di un nonno… Come dar voce al dolore familiare?

Oggi scrivo, a punta di piedi e con profondo rispetto, di un tema a me molto caro e, ahimè, molto attuale. Probabilmente, perché mi ha toccato personalmente qualche anno fa; un periodo, nel quale, mi sono trovata dall’altra parte della barricata. Sono stata una familiare che ha pianto precocemente la dipartita di un carissimo, e a me vicinissimo, parente. I miei figli, all’epoca davvero piccoli ma allo stesso tempo consapevoli, hanno dovuto dire addio al loro nonno. E, l’aspetto più tragico, senza poterlo salutare. Uno strazio.
Lo strazio che percepisco e sento quando ascolto le interviste dei familiari dei deceduti per Coronavirus: come è stato detto più volte, uno degli aspetti più drammatici di questa tragedia è la solitudine della morte, senza dimenticare la sua comunicazione, sovente asettica: “Me lo ha detto il dottore al telefono”, dice la signora di Bergamo…
Proviamo solo a immaginare cosa si possa provare in una situazione del genere. Proviamo, con uno sforzo di empatia, a comprendere l’impotenza di un figlio che si trova stritolato, da un lato, dal proprio dolore, e, dall’altro, dalla difficoltà a comunicare questo ai propri di figli, ai nipoti quando sono presenti.
Eh, sì! Il nostro Paese può vantare una cura profondamente umana dell’anziano: ho lavorato per sette anni in un Progetto di supporto domiciliare alla non autosufficienza; un’eccellenza di Welfare di Comunità, di Reti di supporto bio - psico - sociale, non solo a favore di anziani non autosufficienti, ma anche per i loro caregiver familiari.
 La persona anziana fa così tanto parte della nostra vita da aver creato felici sperimentazioni di cohousing, tra costei e il mondo dell’infanzia, negli asili e case di riposo, dove i primi diventano i “Saggi Cantastorie” (Carubbi, 2018), oratori di tante tradizioni popolari, di Fiabe, appunto;  la sua vicinanza e la sua difesa è così tanto sentita da aver istituito “Caffè Alzheimer”, Circoli, Centri Diurni, Case di Riposo, RSA di eccellenza… E potrei continuare, ancora e ancora.
Ma se è vero che tutta questa facilitazione di una vita proattiva, socializzante, comunitaria, ha permesso, nella routine quotidiana, la promozione di un forte collante relazionale e intergenerazionale (Carubbi, 2009), per cui l’anziano fa pienamente parte sia della Società in cui è immerso, nonché della famiglia in cui vive , è altrettanto fondato il fatto che questa coesistenza ha velocizzato, non volendo, lo stesso contagio, poiché la convivenza inter – intrafamiliare, senza dimenticare quella sociale,  si è dimostrato, non volendo, uno dei maggiori vettori della trasmissione della malattia.
 Questo incipit serve, quindi, per far comprendere quanto i nipoti e i nonni abbiano, da sempre, un rapporto privilegiato di affetto. E quanto, da qui, sia davvero difficile e doloroso doversene separare.
Come poter spiegare, sempre che spiegare sia un verbo adeguato, ai bimbi che il/la loro nonno/a non c’è più? Cerco di dare delle risposte, prendendo spunto da ciò che scritto in “Paco, le nuvole borbottone e altri racconti” (Carubbi, 2018, Alpes Italia).
 La prima cosa sensata, forse banale, è non mentire: il bambino è un essere profondamente saggio e sente tutto ciò che non esprimiamo. È un catalizzatore di incongruenza (Rogers, 1951), di ciò che non torna.
Non mostrate, quindi, cari genitori, emozioni che non corrispondono al vostro vero sentire. Anche se è difficile, cercate di dare loro spazio, qualsiasi esse siano. Partite dall’accettare le vostre naturali, umane e fisiologiche fragilità.
Quando ve la sentite, date dignità alla vostra sofferenza, offrite elevatezza a quella dei vostri figli, dedicandole, se non doveste riuscire a trovare sufficienti parole, uno spazio e tempo sacri, quali quelli della Fiaba.
Soprattutto, quella inventata: “la Fiaba, intesa come atto creativo, è un prezioso e magico luogo, un laboratorio di sperimentazione attiva e di apertura verso la propria esperienza affettiva (Rogers, 1961), dove poter proiettare ed elaborare molte emozioni sentite come minacciose e dolorose” (Carubbi, 2018, p. 39).
Con l’invenzione del racconto, il bambino può dare senso alla confusione, al dolore legittimo. Può, altresì, dare dignità al ricordo. Può dare onore all’assenza, trasformandola in presenza simbolica. Perché è il bambino che crea, che dà voce, attraverso la creazione di personaggi ad hoc, a ciò che non può essere detto altrimenti (Carubbi, 2019). Dà nutrimento fecondo alla propria autenticità affettiva.

Francesca Carubbi
www.alpesitalia.it

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