giovedì 30 luglio 2020

Questione di coraggio

Seneca auspicava che le scelte di un essere umano potessero riflettere le sue speranze e non le sue paure. Una questione di coraggio, dunque.
Coraggio è un parola dall'etimologia interessante e affascinante: deriva dall'unione tardo latina di due vocaboli: il sostantivo "cor" è il verbo "habere". Avere cuore.
Agire con il cuore, allora.
il coraggio, infatti, è una saggia virtù che nasce dal nostro interno. Per dirla con parole rogersiane, il coraggio nasce dall'ascolto della propria Saggezza Organismica (Rogers, 1951). 
il coraggio, dunque, contraddistingue la "Vita Piena" (Rogers, 1961), ossia l'esistenza vissuta nel pieno del fluire dell'esperienza, al di là di ciò che è giusto o sbagliato, al di là di categorie precostituite, al di là di facili consigli, al di là di preconcetti, di stereotipi sterili e inflessibili.
Il coraggio è vivere secondo le proprie aspettative e non secondo quelle degli altri. Coraggio è seguire la propria direzione esistenziale. Quella che scegliamo ogni giorno. Quella per cui lottiamo con le unghie e con i denti. 
Coraggio è vivere testimoniando la propria verità agli occhi del mondo.
Coraggio è, dinanzi ad una scelta difficile, chiudere gli occhi e tappare le orecchie per ascoltare il proprio respiro, per sentire le proprie emozioni, per interrogare i propri pensieri.
Coraggio è accettare che non sempre gli altri potranno comprenderci e accettarci. 
Che per autorealizzarsi, forse, dovremo recidere qualche ramo secco che ostacola il nostro cammino.
Coraggio è dare compimento alla propria vocazione. Seguire i propri desideri, le proprie passioni. 
Coraggio è coltivare l'Amore, quello con la A maiuscola.
Coraggio è onorare la nostra soggettiva e unica Umanità.
Coraggio è, in fin dei conti, seguire il cuore.

Francesca Carubbi
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lunedì 20 luglio 2020

Etica ed empatia


“Se non sono d’accordo con altra gente, posso alzare i tacchi e svignarmela; ma non posso svignarmela da me stessa […]." (Arendt, 1965 – 1966).
Questa frase, molto evocativa e profonda, è tratta dal bellissimo libro di Vito Mancuso “La paura e il coraggio” (Garzanti, 2020).

Hanna Arendt, infatti, descrive in modo molto incisivo il significato psicologico del Bene: il Bene è la virtù dell’empatia, del rispetto, che si declinano in comportamenti responsabilmente saggi. 

Come sostiene Carl Rogers, infatti, l’uomo saggio è colui che ha imparato a modificarsi grazie all’apertura all’esperienza (Rogers, 1961), all’apertura, quindi, ai continui apprendimenti suggeriti dalla stessa,  intesa come campo fenomenico – relazionale (Rogers, 1951), all’interno di una dialettica dialogica “Io – Tu” (Buber, 1954),  in cui vive: in definitiva, l’uomo saggio è colui che, grazie ad una continua educazione, sa attingere dai propri valori profondamenti etici e rispettosi di sé e dell’altro. 

Un uomo saggio, da qui, è colui che sa empatizzare profondamente con l’ambiente che lo circonda e comportarsi di conseguenza.

Come sostiene lo stesso Autore, infatti, “[…] La violenza può aver luogo solo se sia scomparsa qualsiasi fede nel valore e nella dignità della persona ingiustificata non può manifestarsi dove esiste la convinzione che ogni individuo ha un diritto inalienabile alla <vita, alla libertà e alla ricerca della felicità>. Perché possano avvenire insensati attacchi interpersonali deve essere stata completamente eliminata la polarizzazione della persona: per l’aggressore, la vittima non è una persona, altrimenti non l’assalirebbe” (Rogers, 1977, trad. it., pp. 227 – 228).

Quindi per agire il Bene, è necessario che l’Essere Umano sviluppi Empatia, ossia quell’importante funzione definita dalla neuropsicologia “simulazione incarnata” (Gallese, 2005).

Che, quindi, apprenda la capacità di incarnare quel particolare ascolto del “come se” (Rogers, 1957), indispensabile per comprendere chi ha dinanzi: come ci suggerisce Linn Hunt (2010) l’empatia può nascere solo nel momento in cui mi accorgo che l’altro è simile a me. O meglio, solo nel momento in cui rendo consapevole il fatto che lo Straniero o l’Estraneo rappresenta una parte di me che distorco e nego alla mia coscienza (Rogers, 1951). 

Per fare del Bene – quindi, per essere empatici -  infatti, non possiamo esimerci dal conoscere e accettare il Male che è, in primis, dentro di noi.

In tal senso, le fiabe, grazie alla presenza del loro “lato oscuro”(Castello, 2016), rappresentato, senza censure, dall'antagonista (Carubbi, 2018; 2019) – ad esempio, la Strega Bistrega de “Il Bambino nel Sacco”, o “Barba Blu” di Perrault o, perché no?, la Regina invidiosa di “Sole, Luna e Talia” di Basile –   ci fanno apprendere come il Male, che proiettiamo al di fuori, sia una forza tanto forte quanto il Bene.

 Una forza così trainante che, se non conosciamo e non integriamo nella nostra personalità, ci fa agire, paradossalmente, in modo violento e, da qui, non etico.

Francesca Carubbi
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