giovedì 14 maggio 2020

Giochi in un tempo sospeso


In questi giorni, abbiamo recuperato un pallone di plastica; uno di quelli che si usano per giocare in spiaggia, per intenderci.

Un pallone che si è trasformato in tante cose: una palla da basket, una palla avvelenata o che scotta, una palla da afferrare, una palla da cui scappare…

Un pallone che ci ha aiutato, a me e i miei figli, ad attraversare un tempo sospeso.
Un tempo incerto e, a tratti, confuso. Un tempo veloce e uno lento. Un tempo anche svogliato ed annoiato.

Un pallone che ci ha permesso di viaggiare con la fantasia, nonostante i pochi metri quadri a disposizione e la mancanza di un terrazzo.

Un pallone che ci ha fatto ridere a crepapelle.

In questo tempo da ricostruire, il pallone e tanti altri oggetti e spazi – magari, sino ad oggi, dati per scontati – ci hanno offerto materiale per creare, per giocare: abbiamo riscoperto il valore di una porta socchiusa, come nascondiglio, per giocare a nascondino; di una parete per contare a “uno due tre stella”; di un gessetto e un pavimento per saltellare a “campana”; di uno scampolo di stoffa per rincorrerci a “ruba bandiera”…

In tal senso, Donald Winnicott ha sempre sostenuto che il gioco fosse l’apoteosi della creatività umana, ciò che permette all'essere umano di sentirsi integro, di scoprire il proprio sé all'interno di un fluire esperienziale sempre cangiante e, per questo, ricco di incognite: “è nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è solo nell'essere creativo che l’individuo scopre il sé” (Winnicott, 1971).

Il gioco, allora, è fondamentale perché dà un senso al reale. Perché può dare respiro ad un’angoscia che rischia di essere annichilente; per il fatto che può offrire catarsi ad emozioni talvolta sopraffacenti, offrendo la possibilità di mettere in scena le proprie speranze e paure. 

Il gioco, allo stesso tempo, può nutrirci di gaiezza, leggerezza e serenità: aspetti che, se presenti, aiutano a vivere momenti esistenziali dolorosi.

Può, in soldoni, come ci insegna Winnicott, farci sentire interi in quei momenti in cui rischiamo di spezzarci.


Francesca Carubbi
www.psicologafano.com
www.alpesitalia.it

venerdì 1 maggio 2020

Se il Primo Maggio ha valore di ricostruzione


Oggi è un Primo Maggio particolare. In questo anniversario si celebra e onora il Lavoro, quello con la “L” maiuscola.

Il Lavoro  che fa sentire l’essere umano realizzato, fiero, partecipe della Comunità in cui vive. 

Quello che crea empowerment, libertà e responsabilità.

 Il Lavoro per cui abbiamo studiato anni.

Il Lavoro che abbiamo scelto, che abbiamo costruito con sacrifici, che abbiamo cercato e cercato.

Il lavoro che non arrivava mai e che non ci ha fatto dormire intere notti.

Il Lavoro che abbiamo conquistato e che, ora, ce lo teniamo stretto, con le unghie e con i denti.

Il Lavoro ai tempi di una Conciliazione sempre più complicata.

Il Lavoro da organizzare e programmare; il Lavoro dei salti mortali, per cui i funamboli rispetto a noi, in fin dei conti, sono dei dilettanti

Lo Smart Working, che di Smart ha davvero poco.

Il Lavoro che abbiamo perso e ritrovato. Ma anche il Lavoro che ancora non c’è.

Il Lavoro che ci fa paura. Che, nonostante il rischio, lo portiamo avanti con abnegazione e passione.

Il Lavoro che abbiamo dovuto scegliere, perché altro non c’era, perché l’affitto, le bollette, le rette scolastiche, i vestiti dei figli, perché l’apparecchio per i denti, quelle scarpe ormai troppo strette e consunte non potevano attendere.

Il Lavoro, allora, che abbiamo dovuto imparare ad accettare, a farcelo sentire comodo come un vestito stretto, nonostante la delusione e la rabbia.

Il Lavoro che ci fa dire, a denti stretti, “almeno sono fortunato. C’è ancora chi il lavoro non ce l’ha”.

Il Lavoro voluto e scelto e il Lavoro che, al contrario, ha scelto noi.

Tutti questi Lavori che, oggi, rischiano di non ripartire, di arenarsi. 

Lavori che, volenti e nolenti, dobbiamo ricostruire, dalle “macerie” che il Covid sta lasciando dietro di sé.

Ecco, allora, l’augurio che faccio a tutti noi: che il Primo Maggio diventi anniversario di ricostruzione di un Lavoro che rischia di perdere il suo valore più vero, ossia la nostra dignità-

© Francesca Carubbi