venerdì 15 marzo 2024

Il latino è come la psicoterapia…

 


Prima di acquisire una mia identità terapeutica, ho vagato anni per capire come volessi lavorare davvero.

Per quanto, nel 2011, avessi finalmente raggiunto l’agognato diploma rogersiano, non mi sentivo ancora appieno una psicoterapeuta umanistica.

Non dovrei dirlo ma, in onore della mia autenticità, mi sento tale da relativamente poco.

Probabilmente da quando ho iniziato a scrivere, ergo, a unire le due mie più grandi passioni: la clinica e la letteratura; non solo quella italiana bensì quella latina.

E, insieme ai libri, ho scoperto l’amore per lo studio della parola e delle sue combinazioni.

Siamo fatti di grammatica. Siamo una grammatica vivente.

Chi ha studiato, e chi studia tuttora, linguistica sa bene quanto la morfologia, ossia lo studio della nascita, della derivazione e della variazione delle parole a seconda della loro funzione grammaticale, sia fondamentale per comprenderne le sfumature di significato.

Così come la sintassi e la semantica: come si compongono, poi, le parole? In che ordine? Quale struttura assumono? Cosa significano?

Come a dire: la parola, in sé, è un puro concetto/significante il cui significato, a seconda della sua costruzione linguistica e del contesto, rimanda a significati singolari.

Proprio come il latino.

Dicono che sia una lingua morta. Non sono d’accordo: il latino è una lingua viva e palpitante che non passa mai di moda.

Il latino non possiede articoli né, tantomeno, punteggiatura. Per tradurlo occorre una corretta conoscenza della metrica, della morfosintassi e della semantica: un conto, infatti, è la sua realizzazione e decifrazione formale, e la sua composizione frasale (ad es. il significante “puella” significa ragazza e può essere assumere una determinata posizione, o sintagma,  in una data proposizione – ad es. “puella pulchra est”: la ragazza è bella ), altro la sua costruzione semantica, ossia la sua significazione di contenuto a seconda del contesto in cui un dato lessema è inserito.

In tal senso, uno degli aspetti più complessi del latino è l’aspetto di traduzione, in quanto questa può essere paragonata a una composizione musicale, comprese le eventuali stonature. In latino si “stona” parecchio.

Perché? Per il fatto che non basta conoscere le regole grammaticali, declinate, appunto, in morfologia e sintassi, ma occorre la capacità di entrare dentro il significato soggettivo delle parole.

Allora, “puella” non significherà “solo” ragazza, ma quella determinata “puella” sarà diversa da tutte le altre a seconda di chi scrive.

La “puella” di Catullo non sarà mai quella di Virgilio, di Plauto o di Svetonio. Per capire di chi stiano parlando costoro, occorre diventare ognuno di loro e cercare di comprendere il loro punto di vista.

Ecco, allora, cosa accomuna, ai miei occhi, l’ascolto terapeutico e la traduzione latina: una lettura soggettiva, unica e irripetibile.


Nei nostri Studi entrano unici e irripetibili Virgilio, Svetonio, Plauto… E ognuno di loro porta con sé significanti – parole –  che, se da un punto di vista morfologico e sintattico sono declinati e costruiti in modo univoco, da quello semantico rimandano a significati umanamente singolari: per quanto possano parlare di una stessa “puella”, costei non avrà mai il medesimo senso; occorre, allora, proprio come con il latino, saper “tradurre”le parole di costoro in un modo che oltrepassi la semplice costruzione morfosintattica. Nel modo in cui le percepiscono e costruiscono soggettivamente. Nel modo in cui le significano.