sabato 6 gennaio 2024

Biancaneve e il suo “cuore di latta”: il pericolo di una mancata congruenza

 



Usiamo molte metafore per descrivere il nostro cuore; linguaggi simbolici talvolta iperbolici e onomatopeici: “Il mio cuore ha smesso di battere dal dolore!”, “il mio cuore ha fatto crack!>”.

Talvolta, il cuore si pietrifica, diventa di latta, per il fatto che ha subìto duri contraccolpi emozionali.

Il cuore non mente e, proprio per questo, è la parte più indifesa del nostro organismo. E anche la più saggia, sempreché riusciamo a captare i suoi segnali, in quanto, almeno in teoria, è molto sensibile al tradimento: intuisce, grazie a finissime antenne sensibili, l’inganno.

Ma l’intercettazione di quest’ultimo non equivale sempre a una sua corretta simbolizzazione (Rogers, 1951).

La fiaba di Biancaneve, in tal senso, è molto eloquente nel mostrarci il rischio di un “cuore di latta”, quindi di una mancata congruenza (ibidem).

“Portami il cuore di Biancaneve!”, comanda al guardiacaccia la Regina cattiva: avere il cuore di Biancaneve significa non solo appropriarsi della sua vita bensì della sua dignità.

Strappare il cuore è un segno di pura viltà; è vigliaccheria al quadrato; è colpire alle spalle.

La Regina, in tal senso, ha un cuore di latta ma, a differenza del personaggio del Mago di Oz, non aspira a divenire umana. La Regina ha indurito narcisisticamente il suo cuore, per il fatto che vuole essere l’unica a risplendere. 

E il cuore di Biancaneve? Troppo candido, troppo ingenuo. Biancaneve non riesce ad annusare il pericolo; il suo battito è troppo flebile per suggerirle di scappare a gambe levate. Cade troppe volte nei tranelli che la Regina/Strega le prepara. Come direbbe Carl Rogers, non si fida della propria Valutazione Organismica (ibidem): subcepisce, distorce e nega ciò che le suggerisce la sua fiducia interiore. Non riesce a smascherare il falso eroe (Propp, 1928): non solo i camuffamenti della Regina, bensì - e aspetto più grave - i propri. In modo più specifico, il falso eroe di Biancaneve è rappresentato dalla sua “cecità” esperienziale che tende, appunto, a scotomizzare quella parte della realtà fatta di brutture, ombre, disincanti e delusioni. In altri termini, se la Regina è troppo nera, Biancaneve, d’altro canto, è troppo bianca. E, per essere integri, bianco e nero devono necessariamente fondersi.

Non si fida abbastanza di ciò che le suggerisce il cuore. Dovrebbe imparare che la paura è importante, perché le sta segnalando un pericolo che, tuttavia, non riesce a vedere.

Biancaneve dovrebbe essere più scaltra, maggiormente abile nel percepire l’imminente tranello.

In tal senso, anche lei ha una sorta di cuore di latta. Non cattivo, certamente, ma sorprendentemente silente. 

“Occhio non vede, cuore non duole”, recita un famoso proverbio.

Ma, anche se non vediamo, il nostro cuore può comunque ammalarsi; se non di più.

Biancaneve, allora, è metafora di troppo candore esistenziale. Un candore che non contempla, a torto, il suo contrario.

Se ci facciamo caso, Biancaneve non si arrabbia mai. Semplicemente, non può.

Se avesse potuto attingere alla propria rabbia, probabilmente avrebbe potuto difendersi dalle insidie nascoste, dando sempre più fiducia alla sinfonia del suo cuore.

Guardandosi dentro, avrebbe attinto a nuova forza per la propria sopravvivenza; come ci insegna Jung: “Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia!”.


Francesca Carubbi
psicologa - psicoterapeuta
Fano

Autrice
Alpes Italia, Roma