lunedì 18 aprile 2022

Sul dolore dell'Anima

 Una Donna, nel momento del parto, riesce a sopportare la terribile sofferenza equivalente a venti ossa rotte. 

E poi, magicamente, il dolore, com'è arrivato, scompare.

Proprio ieri sera leggevo un articolo circa i dieci dolori più grandi che una persona possa mai sopportare: coliche renali, pancreatiti, cefalea a grappolo e così via…

E il dolore dell’anima? Perché non lo citiamo mai, nonostante i dati ci dicono il contrario?

Forse è per il fatto che l’anima non ha una localizzazione tangibile?

Ma non per questo fa meno male. Anzi.

Il dolore della psiche è un qualcosa di complesso da descrivere. 

Può sembrare una frase scontata ma è così. 

Perché varia da persona a persona; perché la percezione del dolore psichico è condizionata dall’intreccio e interazione di componenti bio - psico - sociali.

Perché la fenomenologia sintomatica (ansia, depressione, somatizzazioni, esperienze terrifiche, traumatiche, abuso di sostanze…) - ossia la descrizione “fenotipica” di ciò che rileva il clinico dalle parole del paziente - varia ed è vissuta a seconda della costruzione soggettiva della realtà (Rogers, 1980), intesa come la gestalt di sentimenti, costrutti, autorivelazione di sé, modalità, appunto, di esperire, livello di incongruenza personale e problem solving.

Come a dire: esiste una classificazione nosografica/descrittiva e una profondamente singolare e soggettiva che appartiene, in modo unico e irripetibile, al cliente che abbiamo davanti. Un cliente con la sua irriducibilità, in quanto Soggetto e non Oggetto.

Forse è proprio per questo che si fa fatica a comprendere intellettualmente il dolore dell’anima: non si vede e, da qui, non possiamo essere certi della sua presenza.

Ma questo dolore, all’apparenza effimero, riesce a sorprenderti quando meno te lo aspetti: l’ho visto, per prima, su di me. La mia esistenza è stata letteralmente tranciata in due: un prima e un dopo. E un presente da ricostruire.

Il dolore che ti sorprende è come un terremoto: ti guardi intorno, sopravvissuta, e cerchi di capire da dove ripartire; da dove poter ricostruire.

Da due anni a questa parte, sto ascoltando tanti sismi personali: tante esperienze indicibilmente destabilizzanti; disperanti; lancinanti.

Ma, allo stesso tempo, le parole che ascolto mostrano un profondo desiderio di capire il significato di quello strano stato di “ansia” o “tensione interna” (Rogers, 1951) che i miei clienti hanno iniziato a percepire, finalmente, senza negazioni di ogni sorta.

Discorsi che emanano speranza di ripartire.

Perché il dolore, sì, che ti può annichilire. Ma può essere rigenerato in ricostruzione. 

Con pazienza e, soprattutto, con la fiducia che ciò che sentiamo, come lacerazione dell’anima, ha lo stesso valore dignitoso di un dolore fisico. Se non di più.


Francesca Carubbi

www.psicologafano.com

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