domenica 21 febbraio 2021

Cosa ci insegna il Dolore

È difficile trovare un titolo a ciò che sto per scrivere. Perché le emozioni da descrivere sono tante; intense; viscerali. Vissuti che ho percepito, con forza, leggendo “semplicemente” un libro. Un libro davvero piccolo ma, allo stesso tempo, grande nel suo potere evocativo.

Non a caso il suo Autore è il Premio Nobel per la Letteratura del 2001.

“Dolore” di Naipul è un'opera che, nella sua essenza, sa entrarti nel cuore, nelle ossa.

Un libro che non ho scelto ma che mi ha scelto. Rapita, sin dal titolo.

Probabilmente perché, per un misterioso e complesso meccanismo di sincronicità, già dalle prime parole, ho percepito, in modo autentico, che quel Dolore, così magistralmente onorato, è un po' anche il mio.

Scrivo spesso di dolore. Non perché mi ritenga una persona remissiva, “masochista”, anzi!

Ma per il fatto che, volente o nolente, il dolore è entrato in modo prepotente nella mia vita.

Chi ha provato dolore sa bene di cosa sto parlando: è una sensazione così paralizzante, perlomeno all'inizio, da non riuscire a trovare una via d'uscita. Poi, però, inizi a comprendere che, per uscire da quello stato di scoramento, l'unica arma che hai, paradossalmente, è proprio quella di entrare in quel tunnel fatto di tremori, angoscia, ansia per il futuro e chi più ne ha e più ne metta. Come ci fa apprendere lo stesso Naipul, infatti,  “Il dolore è sempre in agguato. Fa parte del tessuto stesso della vita. E' sempre sulla soglia”.

Probabilmente è questo l'insegnamento più grande: non si può eludere il dolore. Cerchiamo in tutti i modi di farlo, pensando, erroneamente, di non trovarlo mai nel nostro cammino.

Con il dolore, infatti, siamo portati a pensare, in modo illusorio, che non riguarderà mai la nostra esistenza. È sempre roba di altri. E, se è roba di altri, a noi fa meno paura.

Naipul ci insegna, con profonda umiltà e sconvolgente semplicità, che il dolore non va distorto e negato ma visto per ciò che è, non chiedendosi se ciò che proviamo sia giusto o sbagliato: non c'è un peso specifico per il dolore; come scrivevo tempo fa, il dolore non si può misurare in grammi. Naipul, in questo, si mostra, non volendo, profondamente rogersiano, in quanto, attraverso la freschezza del suo stile narrativo, diviene profondamente empatico con questo vissuto, così spesso percepito come scomodo. E, allora, grazie a Naipul sappiamo che si può onorare il dolore. Certo che sì!

Che sia il dolore legato al lutto per la perdita del proprio papà o per la scomparsa del proprio fratello piuttosto che per la dipartita di Augustus - il gatto a cui era profondamente affezionato -, il dolore ha una giustezza incommensurabile. Nessuno, quindi, può dirci quando provare dolore: solo la nostra Saggezza interiore che, sino a prova contraria, è l'unica vera esperta in questioni di cuore. E la scrittura può essere un suo valido alleato per sentirsi interi quando ci sembra di essere a pezzi.


Francesca Carubbi

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