venerdì 27 ottobre 2023

psicologia e letteratura: quando i libri sono maestri di empatia

 Che io mi ricordi, ho sempre amato leggere.

Forse, per il fatto che la fantasia è sempre stata un mio prezioso rifugio  e i libri, da qui, sono fucine di arte immaginativa.

Amo anche scriverli, i libri e ho sempre ammirato chi è abile nello scrivere. Personalmente, mi reputo una novellina. Non è assolutamente falsa modestia; credo che, semplicemente, scrivere sia un meraviglioso talento e non sono certa di possederlo. Scribacchio e pubblico, questo sì ma non posso definirmi una scrittrice.

Ammiro i grandi delle scrittura; contemplo il loro stile e cerco di trarne ispirazione e, soprattutto, germogli di vita emotiva.

In tal senso, sostengo da sempre che non sono io a scegliere i libri ma che i libri scelgono me.

Mi attirano nel momento in cui, dal semplice titolo, riesco a scorgere una parte di me: nelle timidezza o ritrosia di un personaggio, nella sua continua battaglia a resistere o nel suo perpetuo domandarsi sul senso delle cose.

Come fervida lettrice, inoltre, amo l'odore della carta. Un profumo avvolgente come quello del legno nuovo. Per questo, non scelgo spesso gli e - book, per il fatto che non posso sentire, tra le dita, la consistenza della carta, il suo odore e la sua consistenza.

Leggere senza usare tutti i sensi, per me, è come non leggere affatto.

Per tutti questi motivi, ho voluto introdurre, in terapia, l'uso del libo. Il libro come maestro di empatia: attraverso i personaggi, posso comprendere tanti miei vissuti personali; posso provare noia come il Barone Rampante di Calvino, la furia come l'Orlando dell'Ariosto e come Rinaldo del Tasso.

Posso, altresì, provare sete di vendetta come il Conte di Montecristo di Dumas o il senso di ingiustizia e il peso del pregiudizio che hanno vissuto i Promessi sposi del Manzoni e Rosso Malpelo di Verga...

E potremmo continuare all'infinito...

I libri ci aiutano, in soldoni, a dare un nome alle cose, perché qualcuno prima di noi ha vissuto le stesse situazioni, gli stessi problemi e le stesse nostre emozioni.

In tal senso, la letteratura è la metafora della nostra vita, per il fatto che i nostri antenati, grazie alla narrazione, hanno messo nero su bianco le loro paure, i loro vissuti, le loro difficoltà e le relative soluzioni. Sono riusciti, in altri termini, a dare un senso affettivo e cognitivo, proprio come con le fiabe orali, allo sconosciuto e alle vicissitudini storiche in cui erano inseriti.

La letteratura, allora, parla dei nostri modi di essere, unici e irripetibili: leggere è come essere davanti a uno specchio dove l'altro ci ricorda chi siamo stati e cosa potremmo diventare.

Francesca Carubbi

psicologa e psicoterapeuta

autrice

psicoterapeuta-fano.my.canva.site




martedì 16 maggio 2023

Sulla scrittura e del perché ci salva


 Oggi, in un giorno estremamente piovoso di maggio, ho deciso di sistemare il mio archivio esistenziale: ho iniziato eliminando i miei blog superflui. I miei blog che non hanno più nulla da raccontare. Soprattutto, da narrare.

Eh sì! Perché lo storytelling o arte narrativa è il fil rouge del mio lavoro da psicoterapeuta: sto apprendendo sempre più la bellezza del tessere narrativo.

Come sostiene Bruner, da qui, siamo stati, siamo e saremo animali narranti.

Esseri viventi che cercano, nella loro precarietà dell'esistenza, un senso e un significato.

Allora, riconoscendomi appieno in un homo narrans, ho deciso di chiudere definitivamente alcune "finestre", per lasciare spazio alle mie vere passioni - la psicoterapia, le fiabe e la letteratura in genere.

Un felice connubio che mi permette di ascoltare il cliente che ho davanti, entrando appieno nella sua esperienza, per quanto l'empatia me lo consenta. 

Ascoltare, vuol dire, anche, saper vedere. Vedere ciò che l'altro scrive: propongo, in tal senso, veri e propri incipit amanuensi: che siano lettere di rabbia o missive ai propri genitori, questi strumenti consentono un'esplorazione non indifferente dei propri vissuti, in particolare quelli più difficili da esprimere, perché percepiti come oggetto di biasimo.

Scrivere permette di attingere al proprio sé più autentico; consente una simbolizzazione corretta della propria esperienza sino ad allora negata alla coscienza.

La scrittura, da qui, diviene benzina della nostra Saggezza Organismica (Rogers, 1951): aiuta, infatti, la sua espressione creativa, per troppo tempo sopita o soverchiata da costrutti aridi e inflessibili e, soprattutto, non propri ma ereditati alla stregua di un debito.

In tal senso, molte delle nostre sofferenze sono attribuibili a questioni non nostre; a miopi percezioni, culturali e sociali, della realtà; a giudizi sterili e umilianti; a sguardi invadenti e indiscreti; a parole che, se fossimo davvero saggi, non utilizzeremmo mai per noi stessi.

Ecco, allora, a cosa serve la scrittura: a riconnetterci con l'Universo, con la nostra verità più intima che nessuno può intaccare.

Scrivere alimenta il nostro empowerment, la nostra facoltà di scelta libera e responsabile.

Scrivere, in soldoni, ci salva.

Francesca Carubbi

psicologa - psicoterapeuta, Fano

Autrice e condirettrice, Alpes Italia, Roma