“Se non sono d’accordo con altra gente, posso alzare i
tacchi e svignarmela; ma non posso svignarmela da me stessa […]." (Arendt, 1965 –
1966).
Questa frase, molto evocativa e profonda, è tratta dal
bellissimo libro di Vito Mancuso “La paura e il coraggio” (Garzanti, 2020).
Hanna Arendt, infatti, descrive in modo molto incisivo il
significato psicologico del Bene: il Bene è la virtù dell’empatia, del rispetto, che si
declinano in comportamenti responsabilmente saggi.
Come sostiene Carl Rogers, infatti, l’uomo saggio è colui
che ha imparato a modificarsi grazie all’apertura all’esperienza (Rogers,
1961), all’apertura, quindi, ai continui apprendimenti suggeriti dalla stessa, intesa come campo fenomenico – relazionale (Rogers,
1951), all’interno di una dialettica dialogica “Io – Tu” (Buber, 1954), in cui vive: in definitiva, l’uomo saggio è
colui che, grazie ad una continua educazione, sa attingere dai propri valori profondamenti etici e rispettosi di sé
e dell’altro.
Un uomo saggio, da qui, è colui che sa empatizzare profondamente con l’ambiente
che lo circonda e comportarsi di conseguenza.
Come sostiene lo stesso Autore, infatti, “[…] La violenza
può aver luogo solo se sia scomparsa qualsiasi fede nel valore e nella dignità
della persona ingiustificata non può manifestarsi dove esiste la convinzione
che ogni individuo ha un diritto inalienabile alla <vita, alla libertà e
alla ricerca della felicità>. Perché possano avvenire insensati attacchi
interpersonali deve essere stata completamente eliminata la polarizzazione
della persona: per l’aggressore, la vittima non è una persona, altrimenti non l’assalirebbe”
(Rogers, 1977, trad. it., pp. 227 – 228).
Quindi per agire il Bene, è necessario che l’Essere Umano
sviluppi Empatia, ossia quell’importante funzione definita dalla
neuropsicologia “simulazione incarnata” (Gallese, 2005).
Che, quindi, apprenda la capacità di incarnare quel
particolare ascolto del “come se” (Rogers, 1957), indispensabile per comprendere
chi ha dinanzi: come ci suggerisce Linn Hunt (2010) l’empatia può nascere solo
nel momento in cui mi accorgo che l’altro è simile a me. O meglio, solo nel
momento in cui rendo consapevole il fatto che lo Straniero o l’Estraneo rappresenta
una parte di me che distorco e nego alla mia coscienza (Rogers, 1951).
Per fare
del Bene – quindi, per essere empatici - infatti, non possiamo esimerci dal conoscere e
accettare il Male che è, in primis, dentro di noi.
In tal senso, le fiabe, grazie alla presenza del loro “lato
oscuro”(Castello, 2016), rappresentato, senza censure, dall'antagonista (Carubbi, 2018; 2019) –
ad esempio, la Strega Bistrega de “Il Bambino nel Sacco”, o “Barba Blu” di
Perrault o, perché no?, la Regina invidiosa di “Sole, Luna e Talia” di Basile –
ci fanno
apprendere come il Male, che proiettiamo al
di fuori, sia una forza tanto forte quanto il Bene.
Una forza così trainante che, se non
conosciamo e non integriamo nella nostra personalità, ci fa agire, paradossalmente, in modo violento e, da qui, non etico.
Francesca Carubbi
www.psicologafano.com
www.alpesitalia.it
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