lunedì 2 marzo 2020

Elogio alla sensibile timidezza


Ho vissuto la mia infanzia nel pieno degli anni ’80. Gli anni ruggenti, quelli della “Milano da bere”, per intenderci. Gli anni dell’alta moda, della nascita delle Top Model, che avrebbero, poi, raggiunto il loro apice negli anni ’90.
L’epoca del rock, degli eccessi. Ma anche l’era della ricerca del successo, degli yuppies rampanti. Dell’estroversione come regola e della bellezza  come dogma
Gli anni d’oro dei must, della prestazione, del non fermarsi mai, dove l’inciampo, la stortura, gli impacci e i tentennamenti, il difetto non erano contemplati.
Ma, io sono stata una bambina che ha incespicato parecchio. Timorosa e goffa, mi sono approcciata alla vita proprio come un riccio che, al primo ostacolo o al primo timore, si è chiusa mostrando gli aculei al Mondo. Per difendermi. Per non sentire le umiliazioni e le derisioni
Asmatica e occhialuta, mi affacciavo alla vita con una timidezza e una sensibilità non sempre apprezzate.
In tal senso, conservo ancora le pagelle di quegli anni. Scuole elementari, si chiamavano.
Ogni volta che le leggo, rivedo me, bambina, non accettata a piene mani nel mio essere schiva e riservata: la parola timidezza veniva enfatizzata come un morbo da estirpare; un intralcio alla crescita; un qualcosa da normalizzare.
Mi ci sono voluti anni di terapia per accettare questa parte di me e per farne il cavallo di battaglia del mio essere. E, così, ho basato il mio lavoro, non solo clinico, bensì di autore, per difendere, come un Don Chisciotte dei nostri giorni, la bellezza e, perché no, l’importanza della sensibilità e della pacata timidezza (giustamente, non mi sto riferendo alla controparte psicopatologica, dove l’essere timido è dolorosamente estremizzato, propria dei disturbi legati al fenomeno dell’evitamento, come le fobie sociali o il disturbo evitante di personalità): caratteristiche, queste, che se accettate posseggono lati importanti di proattività sociale. Quali? Beh, ad esempio, la capacità di osservazione e riflessione; l’empatia; la riservatezza; il sano pudore; la capacità di ascolto; la gentilezza; la gratitudine; il rispetto.
La persona sensibile e timida, infatti, è una persona che, se facilitata, può apprendere quanto la sua sensibilità possa nutrire importanti doti empatiche, non solo individuali, bensì di carattere sociale e di comunità; quanto la sua ritrosia nel non agire subito possa essere benzina delle propria capacità di attesa, quindi di tolleranza alla frustrazione; quanto il contatto con le proprie emozioni può divenire motore della sua creatività; quanto la dote della gentilezza sia, ad oggi, un tesoro da riscoprire.
Insomma, se diamo il tempo di fiorire alle persone sensibilmente timide (Carubbi, 2018), potremmo scoprire quanta bellezza ci sia dietro ad un sorriso accennato; potremmo scorgere la loro commozione mentre ascoltano una melodia o mentre leggono un libro;
Dietro alle loro titubanze, potremmo scorgere un’intelligenza acuta , un immaginazione fervida e la nascita di idee innovative.
Dietro alle loro paure, un coraggio mai pensato.
Allora, quando vedete un bambino timido e sensibile, non cercate di raddrizzarlo, ma coltivate la sua singolarità, le doti che già possiede; trasformate in arte la sua esistenza
Come il Brutto Anatroccolo di Andersen, infatti, la persona timida da Brutto Anatroccolo, se amata per ciò che è, può trasformarsi in quel Cigno meraviglioso che, abitando da sempre in lei (Carubbi, 2018), non aspettava altro che rinascere a nuova vita.

Francesca Carubbi
www.psicologafano.com
www.alpesitalia.it

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