Ho scritto tempo fa su quanto le fiabe siano dei validi
antidoti contro l’ipocrisia (Carubbi, 2019), perché nella loro verità, talvolta
cruda, ci informano non solo del fatto che l’esistenza è, sovente, una messa
alla prova, una vera e propria avventura, ma anche che, come ci insegna Jung, “in
ognuno di noi c’è un altro essere che non conosciamo”. Parlo, però, delle fiabe
antiche, ataviche, intatte nei loro contenuti non inzuccherati. Intatte nella
loro “altra metà” (Castello 2016).
Una metà così scomoda, da dover essere eliminata. “Le fiabe
sono per i bambini, diamine!”, si dice.
Ma ne siamo, davvero, così sicuri? Siamo davvero certi che i
racconti magici, per dirla alla Propp, siano destinati sono all’infanzia? O
possono essere proficua fonte di apprendimento anche per noi adulti?
In che modo? Le fiabe ci svelano, grazie agli antagonisti (l’orco,
il diavolo, la bestia, il brigante, la strega o matrigna, il lupo), quanto
tutto ciò che riteniamo estraneo a noi – ossia la famosa Ombra di cui parla
Jung – non sia altro che un fenomeno proiettivo. In altre parole, da un punto
di vista simbolico, gli anti eroi fiabeschi (Carubbi, 2018; 2019)
rappresentano, in modo metaforico, quelle parti di noi che non vorremmo vedere,
né tantomeno possedere. Tutto ciò che, in soldoni, consideriamo brutto, osceno,
cattivo, terrificante. Ma che fa parte di noi.
In tal senso, Jung ha sempre esortato l’essere umano a non
essere “semplicemente” buono, bensì integro, dove con il concetto di
integrazione intendo l’unione dei nostri opposti. Ciò che Rogers (1957)
definisce Congruenza: la corretta simbolizzazione dei nostri vissuti, delle
nostre emozioni e cognizioni, senza un giudizio valoriale, affinché le nostre
azioni possano riflettere la nostra apertura all’esperienza, al nuovo, al
diverso e all’Estraneo o Straniero, che, non dimentichiamolo, in primis è in
noi (Carubbi, 2019)
Solo nel momento in cui, infatti, guardiamo con coraggio la
Bestia che è in noi, solo allora possiamo farcela amica, appropriandocene.
Riassumendo, la fiaba, poiché parla dei nostri opposti,
delle nostre parti distorte, negate (Rogers, 1951), è uno strumento utile per
integrare tutte quelle parti del nostro sé che, fino a poco tempo prima,
proiettavamo al di fuori di noi. La fiaba, allora, ci fa apprendere quanto
dentro di noi coabitino sia la Bella che la Bestia.
© Francesca Carubbi
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