mercoledì 22 aprile 2020

Cosa porterei via...


Se la quarantena fosse una valigia, cosa porterei via?

Le mie mascherine di cotone, il disinfettante spruzzato in tutta la casa, il termometro a infrarossi.

 Le lezioni a distanza. Le mie consulenze online.

La mia paura del buio. I miei sbalzi di umore, Il batticuore e i pensieri spesso uguali a se stessi. Le mie ipocondrie, i miei timori, ma anche le mie speranze e sprazzi creativi.

I miei quaderni, pieni di appunti, di disegni e di idee. Le mie serate trascorse a giocare Monopoli. I miei libri, i miei scritti e le mie calde coperte. I miei pigiami improponibili. 

Le mie mani diventate ruvide per i continui lavaggi. I miei capelli di un colore sbiadito e il mio smalto non più intatto.  Ma, allo stesso tempo, i miei tentativi di conservare una routine di cura.

La tristezza e la rabbia, i litigi livorosi e le riconciliazioni amorevoli. La difficoltà a dover condividere spazi angusti e il vitale bisogno di custodirne uno tutto per sé.

Il fare i conti con il senso di precarietà e di vulnerabilità. Con il fatto che, per quanto cerchiamo in tutti i modi di porre un controllo sulla nostra Vita, qualcosa sfugge sempre.

Porterei via anche la terribile mancanza degli abbracci. Quelli veri, che ti scaldano il cuore e il resto.
La mancanza del brivido di un bacio, della spontaneità dei gesti che, sino a ieri, davamo per scontati.

Porterei via il panorama silenzioso che vedo dalla mia finestra. La nostalgia dei miei figli, le loro fatiche, ansie e momenti di resilienza. I loro tentativi di trasformare la realtà in modalità creativa. I loro pianti e sorrisi. 

La loro noia, ma anche il loro divertimento. I loro salti sul letto e le lettura insieme.

Porterei via la loro emozione incredula nell’incontrare virtualmente i loro compagni e le loro maestre. La loro gioia nel poterli salutare, seppur per poco. Ma porterei via pure il loro desiderio di riprendere una vita abbastanza normale, i loro ricordi agrodolci di un passato che non esiste più. Almeno per ora.

Porterei via, allora, la lotta profondamente umana per la nostra sopravvivenza. Per una sopravvivenza che non può dirsi solo fisica, bensì psichica e relazionale.

Francesca Carubbi
 

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