“Oh, guarda guarda!
Vedete anche voi quello
che vedo io?
Quel bambino piange
forte forte
Per fortuna io so che
cosa bisogna fare di così tante lacrime”
Sabine De Greef –
Lacrime che volano via
Il mio lavoro è fonte di ispirazione. Nella mia mente
nascono, così, riflessioni e interrogazioni circa le storie che ascolto.
Una di queste riguarda il posto delle lacrime nella nostra vita.
Da qui, penso sempre si più che di lacrime non ce ne siano mai abbastanza per
onorare il nostro dolore. E molte di queste vengono rinchiuse in nodi così
stretti da non riuscire più a scioglierli. Groppi in gola, si chiamano.
Sensazioni di una chiusura ermetica che parla dell’estenuante lotta tra una parte di noi, che deve essere per forza sempre forte, e un’altra
che vorrebbe rompere le dighe del pianto.
E l’aspetto più
sconcertante è che molti clienti non si sono mai chiesti, prima del loro percorso
di psicoterapia, il perché di questo blocco.
Non si sono mai legittimati il perché della "sepoltura" delle loro sofferenti lacrime. Sì, perché
piangere non può essere considerato solo un bisogno, bensì una vero e proprio desiderio, spesso declinata con la frase “Dottoressa, vorrei tanto piangere
ma non riesco” oppure “Sento che stanno per uscire le lacrime, ma faccio in
modo che non avvenga”.
Ecco: il dovere si oppone all’esaudimento di una spinta alla
libertà esperienziale: emozionale, fluida, aperta a tutte le emozioni, comprese
quelle più difficili da tollerare. Una progressiva apertura dignitosa al
dolore, senza vergogna e senso di colpa.
Sono infatti i profondi vissuti di denigrazione che
impediscono la lacrima: un biasimo vissuto, spesso, durante l’infanzia, quando
il cliente bambino si è identificato, progressivamente, con i giudizi genitoriali.
Quando ha imparato che “un bambino forte non piange!”. Quando ha
sentito costantemente “Guardati allo specchio! Non fai altro che piangere!” o “Sii
forte! Cosa piangi a fare?”. Quando ha trasformato tutto questo in “Non devo
piangere! Perché sono un bambino forte!”
E, allora, tutte queste lacrime che non hanno trovato un
posto, si sono , mano a mano, prosciugate o trasformate in sintomi che,
nonostante un apparente non detto, hanno molto da dire e raccontare.
Lacrime che, a fronte di tutto ciò, non aspettano alto di
essere “cullate dolcemente, molto dolcemente” (De Greef, 2009).
© Francesca Carubbi
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