venerdì 7 agosto 2020

Se la gentilezza salva il nostro essere

 Si dice che la bellezza salvi il mondo. Io credo, dalla mia esperienza, che sia più la gentilezza a salvarci dall'abisso dei nostri Demoni e trasformarli in Daimon , quindi in vocazione esistenziale o, per dirla alla rogersiana, in tendenza attualizzante (Rogers, 1980).

Gentilezza intesa come atto d'amore verso il proprio sé, con le sue fratture, ferite, inciampi, storture.

Da qui, se ho appreso una cosa fondamentale in qualità di psicoterapeuta e cliente, è che passiamo buona parte del nostro percorso di cambiamento ad odiarci, a maledire il nostro modo di essere, ad essere arrabbiati con noi stessi e con il mondo. 

Con ciò non voglio assolutamente asserire che non bisogna farlo. Anzi! L'entrata nei propri inferi lo ritengo un passaggio obbligato per il processo di mutamento: è solo nel momento in cui accettiamo il Mostro che è in noi, che possiamo davvero elevarci alla Bellezza che abbiamo sempre posseduto ma che non ci siamo mai legittimati a coglierla e farne, da qui, Arte, Vocazione, Attualizzazione.

Fare, in altre parole, dei propri sintomi, angosce, sconquassamenti interiori, strumento di fioritura, di benessere.

Chi ha sofferto molto sa bene quanto le ferite dell'anima non possano scomparire ma, al contrario, riattivarsi in momenti di stress, con tutto il carico di sopraffacente emotività che ne consegue.

Ecco: essere gentili con sé stessi significa, in primis, imparare a riconoscere i momenti in cui iniziamo a sentirci soverchiati e minacciati, senza distorcere e negare nulla alla coscienza (Rogers, 1957). Essere congruenti, appunto, e rispettosi verso ciò che ci sta suggerendo il nostro organismo.

Essere gentili, allora, è riuscire, pian piano, a fare pace con la propria storia, con il proprio passato, con il proprio modo di essere unico e irripetibile. Significa riuscire a spogliarsi dei ripetuti giudizi che hanno avuto il potere di alienarci, di farci sentire sbagliati.

Significa poterci osservare come si ammira un bellissimo tramonto (Rogers, 1980): senza volontà di mutarne le sfumature di colore, senza pretesa alcuna di modificarne la durata o l'intensità di luce.

Il cambiamento gentile può avvenire, allora, come ci insegna Carl Rogers, solo nel momento in cui mi accetto per come sono. Con tutte le proprie sfumature esistenziali, profondamente uniche e soggettive.

Francesca Carubbi 

www.psicologafano.com 

www.alpesitalia.it 


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